Non siamo nel 2008

23 Marzo 2023 _ News

Non siamo nel 2008

Il mercato finanziario è instabile per natura, e lo è da sempre, a causa dell’emotività che guida i partecipanti al mercato. Le emozioni si muovono infatti come un pendolo, passando dall’euforia alla paura, e generano instabilità, la cui gestione è compito delle Banche Centrali.

Al fine di abbassare l’inflazione sono stati aumentati i tassi, il cui rialzo tuttavia ha creato degli squilibri sulla stabilità finanziaria, che ha colpito lo scorso anno diversi settori economici come tecnologia, consumi discrezionali e telecomunicazioni, e che nelle ultime settimane si è spostata sul settore finanziario.

In particolare, ad essere maggiormente colpite sono state le banche più fragili, spesso indebolite da errori di gestione ed operativi non concessi al settore bancario, dove la fiducia risulta essere la variabile principale, la quale, al fine di essere ripristinata, necessita dell’intervento delle Banche Centrali.

In questo contesto di stabilità finanziaria in deterioramento, le Banche Centrali si trovano combattute su come utilizzare le due leve a loro disposizione, ovvero tassi e liquidità da immettere nel sistema.

 

 

Sul lato dei tassi di interesse è opinione condivisa che le Banche Centrali siano prossime al famoso punto di pivot, ed il mercato di fatto ci sta già dicendo che i tassi sono arrivati. Il tasso terminale americano in una sola settimana è passato dal 5.9% al 5% e quello europeo dal 4.10% al 3.4%, scontando lo scenario di medio periodo che vede un’economia in evidente rallentamento unita a condizioni finanziarie in pesante deterioramento, con un rallentamento della domanda e dell’offerta di credito. Condizioni che secondo alcuni economisti equivalgono ad un impatto sull’economia pari al rialzo di 150 basis point dei tassi.

Nell’ultima settimana la FED ha aumentato nuovamente il suo bilancio espandendolo per circa 300 miliardi di dollari, di cui la metà usati per dare linee di credito alle banche americane, cancellando in una sola settimana 6 mesi di quantitative tightening.

 

 

Guardando al futuro crediamo di essere nella parte finale della turbolenza per due motivi. In primis, perché le Banche Centrali sono riuscite ad abbassare l’inflazione. In secondo luogo perché le Banche Centrali hanno come obiettivo anche la stabilità finanziaria, che proprio nelle ultime settimane è stata colpita, rendendo necessario il loro intervento e supporto.

Come sosteniamo da diversi mesi, i tassi d’interesse a medio e lungo termine hanno finito di salire. Questo perché i tassi a lungo si muovono seguendo le aspettative del mercato sulla crescita economica, e quindi contano poco i movimenti dei tassi a brevissimo termine controllati dalle Banche Centrali.

I mercati, al di là di un breve short squeeze, dovranno fare i conti con un’inflazione in calo e con un ciclo economico che tenderà a rallentare, in un contesto che comunque rimane di crescita economica ancora solida.

Sul nostro modello valutativo degli equity la discesa dei tassi gioca un ruolo positivo e la salita dell’equity risk premium è confinata principalmente al settore finanziario. Resterà chiave capire l’effetto sugli utili, ma già ora vediamo prezzato un ulteriore taglio degli utili del 5% negli USA, che potrebbe ritornare a sovraperformare l’Europa grazie all’esposizione ai tech, considerati difensivi e con eccesso di cassa.

Equity americani e duration sui governativi sono la ricetta per navigare la tempesta, con il focus su società di qualità caratterizzate da vantaggi competitivi e buoni ritorni sul capitale accompagnati da valutazioni interessanti.

 

 

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