7 motivi per investire nei mercati emergenti post coronavirus

02 Luglio 2020 _ News

7 motivi per investire nei mercati emergenti post coronavirus

È evidente come le economia dei vari Paesi siano fortemente influenzate dalla crisi sanitaria in atto: se il Covid-19 ha colpito duramente i mercati di Stati Uniti ed Europa, nei Paesi in via di sviluppo ha influito ulteriormente su un equilibrio economico già di per sé fragile, come in India, Medio Oriente e America Latina, che al momento risultano essere quelli in maggiore difficoltà nel gestire la pandemia.
Nonostante ciò, è forte la volontà di guardare ai mercati emergenti con un atteggiamento ottimista. 

Può sembrare strana una simile prospettiva, ma proviamo a concentrarci sui mercati dei singoli Paesi colpiti: ne risulterà un quadro eterogeneo, che vede da un lato America centrale e meridionale in preda a una profonda crisi, dall’altro l’estremo Oriente, con Sud Korea, Taiwan e Cina sul podio mondiale della ripresa economica.
Alcune aree di frontiera rischiano di pagare il crollo del turismo o l’interruzione delle rimesse in valuta da parte dei loro cittadini emigrati (ad esempio lo Sri Lanka), altri soffrono per il prezzo del petrolio e delle materie prime (la Nigeria). Ma molti Paesi si presentano, al contrario, nella migliore condizione per ripartire, favoriti da sistemi bancari più affidabili e da adeguate dotazioni di riserve valutarie. Le Filippine, ad esempio, hanno un basso debito con l’estero, buone riserve di dollari, basso deficit e buona liquidità nel sistema finanziario domestico. Anche il Vietnam è un Paese che ha gestito abbastanza bene l’emergenza Covid-19 ed è tornato alla piena ripresa delle attività.
Lo scenario dunque è in chiaroscuro, poiché in alcuni Paesi la malattia è ancora una serissima minaccia mentre altri, finanziariamente più fragili, potrebbero essere costretti a forme di ristrutturazione del debito. La selettività negli investimenti sarà perciò imprescindibile.

I motivi per essere ottimisti sono molteplici, tra cui possiamo distinguere:

  • Crescita delle megalopoli: soprattutto sulla costa asiatica del Pacifico vi è un incremento di popolazione proveniente dalle aree rurali, perciò gli insediamenti urbani si fanno sempre più grandi e densamente abitati 
  • Classe media in aumento: la crescita delle città comporta una maggiore diffusione della classe media, che ha nuove abitudini, nuovi bisogni, e soprattutto nuovi consumi, dando una forte spinta alla crescita economica legata a beni e servizi.  
  • Tecnologie innovative: i Paesi emergenti sono sempre più aperti allo sviluppo tecnologico, adottando uno stile di vita prettamente digitale e superando con facilità i mercati “ricchi” nella corsa all’innovazione.   
  • Servizi: Guardando alla situazione più contingente, un fattore determinante è dato anche dal settore terziario: mentre i Paesi sviluppati impiegano nei servizi il 72% delle loro risorse, i Paesi emergenti si limitano al 54%, pertanto questi ultimi hanno subito meno danni economici a causa dei provvedimenti per la tutela della salute pubblica (ad esempio con il distanziamento sociale). Tutto ciò lascia ben sperare per quest’area del mondo, ipotizzando un calo nelle attività economiche di appena il 6%, contro il pesante calo del 12% nelle economie maggiori.
  • Gestione dell’emergenza sanitaria: Non va dimenticato che i Paesi in via di sviluppo – soprattutto in Asia – sono più abituati rispetto al resto del mondo a gestire emergenze sanitarie, virus e altre influenze molto aggressive e, di conseguenza, a ripartire.
  • Provvedimenti governativi: le risposte politiche alla crisi nelle economie emergenti sono state generalmente appropriate. I Paesi preparati, come la Tailandia, hanno offerto sostegno fiscale. Nel complesso, l'universo emergente ha affrontato questa crisi in maniera molto meno vulnerabile rispetto al 2008, quando si verificò la crisi finanziaria globale. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha fornito un sostegno considerevole, offrendo linee di credito flessibili che hanno permesso ai Paesi di contrarre prestiti a tassi ragionevoli senza condizioni onerose, aiutandoli a risolvere le questioni a breve termine. E un certo numero di Paesi ha adottato un allentamento quantitativo, che ha permesso loro di evitare stop di mercato.
  • “Il mondo gira intorno alla Cina”: è indubbio dire che il colosso asiatico faccia la differenza negli equilibri economici mondiali, e che la sua ripresa economica sia un forte stimolo per l’area emergente: a un gravissimo crollo durante il picco di emergenza sanitaria è seguito un recupero costante, e il credito – grazie anche all’intervento del Governo – continua a crescere. 

La ripresa cinese ha incrementato di molto il mercato immobiliare nel settore residenziale, implicando una maggiore domanda di materie prime. Questa – unita all’indebolimento del dollaro – costituisce un forte aiuto per i mercati emergenti che si basano sull’esportazione di commodity, con previsioni ottimiste per i prossimi mesi sul prezzo dei metalli, in crescita del 15-20%. A ben guardare neppure durante il lockdown si è verificato un sensibile calo delle importazioni anzi, i prezzi stracciati delle materie prime hanno favorito l’accumulo di scorte.

Nel complesso, a livello globale la situazione dei commerci è meno grave di quanto si possa pensare o intendere dai pronostici e le acque sono nuovamente calme anche sul fronte della guerra commerciale tra Washington e Pechino.

Dunque il “denaro magico” di Governi e Banche Centrali, la ripartenza della Cina e i prezzi delle materie prime sono fattori di stabilità e supporto alle economie emergenti.

A tutto ciò si aggiungono esempi di quanto essere ottimisti paghi, come l’indice MSCI Emerging Markets, salito sempre di più tra il 2008 e il 2019, segno evidente di una ripresa economica che sembra non volersi fermare. Le previsioni per il futuro sono altrettanto positive: da qui a 5 anni i mercati in via di sviluppo dovrebbero crescere 3 volte più rapidamente rispetto ai mercati sviluppati, con un ulteriore aumento del PIL (al momento l’economia dei Paesi emergenti costituisce il 40,2% del PIL globale).  

Di fronte a questo scenario, a tassi d’interesse ai minimi ancora per molto tempo e una volta assicurata la necessaria selettività, bond mercati emergenti e azioni emergenti costituiscono un’interessante leva di diversificazione per i portafogli di investimento.
Le obbligazioni paesi emergenti, sia governative e sovranazionali (obbligazioni ad elevato rating e basso rischio di mercato emesse da istituzioni bancarie governate da diversi Paesi membri, come la Banca Mondiale, la Banca Europea per gli Investimenti e l’Inter-American Development Bank) che corporate, se denominate in valuta locale, permettono infatti di ottenere rendimenti e cedole più che positivi, rimanendo investiti nei rating migliori. Questo grazie a tasso di interesse e inflazione a livelli normalmente positivi.
Per la parte azionaria invece, soprattutto in ottica tattica, domina la Cina. In particolare, il Dragone può vantare attualmente diversi primati: insieme alla Corea del Sud occupa un posto tra le prime 5 Nazioni con più domande di brevetto ed è sempre un passo avanti sulle innovazioni, ed è un punto di riferimento nei servizi fintech per trasferimenti di denaro, pagamenti e gestione investimenti. Senza dimenticare infine l’egemonia cinese sull’e-commerce a livello mondiale. 

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