Dai tulipani all’intelligenza artificiale
11 Luglio 2024 _ News

Da un anno a questa parte, ormai, non si fa altro che parlare di intelligenza artificiale. Non a torto probabilmente, vista la portata degli impliciti e profondi cambiamenti potenziali in molti ambiti della nostra esistenza, sociale, economica e culturale.
Lasceremo ad altri (più preparati di noi in questo) la valutazione sociologica del fenomeno, concentrandoci piuttosto sui livelli di euforia generati sui mercati e su come, ancora una volta, l’ebrezza del fenomeno nuovo di turno abbia scompaginato i processi decisionali e valutativi alla base di una sana e corretta gestione di portafoglio o nel peggiore dei casi dei propri risparmi.
La cosa buffa di questa storia che stiamo per raccontarvi è che non è la prima volta che accade! I precedenti sono numerosi e dolorosi, eppure si ripetono con incessante regolarità e sinistra similitudine nel corso del tempo (forse potremmo dire secoli).
Quando il “prezzo non conta” perché le prospettive sono impareggiabili state certi di essere alla vigilia di qualcosa di spiacevole, un brusco risveglio da una favolosa ubriacatura con tutti i fastidiosi postumi del caso.
Il prezzo, in verità, conta sempre, in primis perché è una unità di misura di un processo di scambio. Ciò che ottengo in cambio si chiama valore.
In secundis, perché il prezzo non è una misura assoluta, ma relativa appunto al valore che ottengo in cambio.
Nella realtà prezzo e valore sono spesso, per non dire quasi sempre, disallineati anche se una lieve differenza è fisiologica. Quando invece il prezzo è sensibilmente inferiore al valore abbiamo un “affare”, al contrario quando il prezzo è sensibilmente superiore al valore abbiamo un “cattivo affare”. Sic et simpliciter.
In teoria quindi pochi dubbi e molte certezze nei fatti e nei secoli, però niente va come dovrebbe e le bolle si susseguono con incessante regolarità.
Iniziamo la storia delle bolle speculative in Olanda nel 17° esimo secolo. Il secolo d’oro olandese, cornice della prima e pienamente documentata bolla finanziaria della storia economica, quella dei tulipani.
L’economia e la società olandese, o per essere più precisi della repubblica dei Paesi Bassi, era in quel periodo piuttosto florida. I commerci, naturale inclinazione antropologica del paese erano alimentati dalla compagnia delle indie olandesi, nacquero i primi esempi di presiti obbligazionari statali e nelle arti i pittori fiamminghi stupivano l’Europa. Insomma, un periodo florido e di grande fermento, i Paesi Bassi stavano attraversando il loro rinascimento. Il commercio dei bulbi era un’attività piuttosto importante e in quel momento il prezzo dei bulbi di tulipani era in rapida ascesa. Le aste erano letteralmente prese d’assalto dai mercanti di tutta Europa con il prezzo del bulbo che arrivo a toccare la cifra astronomica per l’epoca di 100.000 fiorini (il reddito medio all’epoca era di circa 150 fiorini!).
Alla fine, la bolla speculativa che nell’euforia dal nulla si era creata, esplose a causa di una asta sfortunata che andò deserta e dal susseguente panico che ne scaturì. Il mercato crollò. Centinaia di olandesi, uomini d’affari e nobili dignitari caddero in rovina.
A posteriori andare in rovina per un bulbo di tulipano appare piuttosto beffardo e irrazionale, da sciocchi insomma. Con un po' più di sale in zucca, potremmo dire, si sarebbe evitata la trappola. Certo, come no!
Nel secolo successivo è il turno degli inglesi e di un protagonista di eccezione, Sir Isaac Newton. Si, proprio lui che di sale in zucca ne aveva parecchio.
L’oggetto della bolla speculativa fu questa volta la Compagnia dei Mari del Sud, società per azioni a capitale misto pubblico e privato, le cui azioni sospinte dai rumors dei mirabolanti affari con il nuovo mondo passarono in breve tempo da 128 sterline a 1.050 sterline. Il nostro Isaac Newton resosi conto della situazione vendette le sue azioni nella fase iniziale della loro ascesa registrando un discreto guadagno (circa 7.000 sterline) affermando, almeno stando alle cronache del tempo “sono capace di calcolare i moti dei corpi celesti, ma non la follia delle persone”. Peccato che, successivamente, con il titolo vicino ai suoi massimi lo ricomprò e quando nel 1720 la bolla scoppiò e il prezzo tornò a 200 sterline dovette fare i conti con una perdita di ben 20.000 sterline!
Ce l’aveva quasi fatta ma ironia della sorte, nemmeno uno degli uomini più intelligenti del mondo fu in grado di resistere a questa tangibile lezione di gravità. Perché come dice Warren Buffett non è l’elevato QI che serve ad investire ma il temperamento, cioè il giusto orientamento e ragionare sul lungo termine senza farsi prendere dall’emotività.
Facciamo adesso un balzo in avanti nella storia. Sono gli anni Sessanta del ‘900 in piena mania dei titoli “Nifty Fifty”, ovvero le azioni delle società americane di maggiore qualità ed in più rapida crescita. La convinzione che per un certo asset, “non possa esistere un prezzo troppo alto” trova qui il suo apogeo.
I Nifty Fifty beneficiano della nuova tendenza in voga in quel tempo di partecipare ai profitti in aumento delle aziende maggiormente esposte ai progressi tecnologici, del marketing e del management. Nel 1968 le aziende migliori ed in più rapida crescita, si erano rivalutate così tanto che gli uffici analisi delle banche avevano praticamente perso interesse per tutti gli altri titoli. E’ molto importante sottolineare la perdita di interesse degli investitori come segnale di una bolla e di come questa perdita d’interesse tenda a ripetersi sempre nel tempo. A tutti gli effetti è come se si restringesse il proprio campo visivo, in quel momento limitato a una manciata di titoli: Xerox, IBM, Kodak, Hawlett Packard, Texas Instrument, Coca Cola ed Avon.
Aziende così solide che non sarebbe potuto accadere loro nulla di male ed era idea comune che non importasse nulla quale fosse il prezzo da pagare. Se era un po’ troppo alto, poco male, i profitti delle aziende sarebbero cresciuti ancora compensando la spesa sostenuta.
Il risultato lo avrete già immaginato. Quando le persone sono disposte ad investire a prescindere dal prezzo, è ovvio che lo fanno sulla base delle emozioni e della popolarità piuttosto che condurre una analisi a sangue freddo.
Così i titoli Nifty Fifty che erano stati venduti ad un prezzo pari a 80-90 volte gli utili nel 1968, all’apice di un potente bull market, stramazzarono (letteralmente) al suolo non appena si raffreddarono gli entusiasmi. La fine dell’esplosione della bolla nel 1973 registrò perdite del 80%. Molte di quelle aziende ritenute eterne sono oggi fallite o hanno attraversato gravi crisi interne.
Un'altra lezione era stata impartita: nessun asset o azienda è così buono da non poter diventare troppo caro.
Era chiaro a tutti.
O forse no?
Per scoprirlo spostiamoci alla fine degli anni ‘90. La rivoluzione di internet!
Vero, internet ha cambiato il mondo, che oggi è irriconoscibile rispetto a trent’anni fa. “Internet cambierà il mondo” era il grido di battaglia, seguito come sempre e di nuovo da “nessun prezzo è troppo alto per un titolo e-commerce.”
Ma mentre i titoli Nifty Fifty-fifty erano stati venduti a multipli di utili gonfiati, questa volta i titoli legati ad internet non registravano utili affatto!
Ragion per cui le valutazioni venivano fatte sul fatturato, quando c’era.
Aziende che si quotavano con il nome che terminava con “.net” il primo giorno di quotazione salivano del 50%! Anche in questo caso gli analisti ed investitori erano interessati solo ai titoli internet, perdendo di vista tutte le altre aziende. Basti pensare che 3M nel ’98-99 con il Nasdaq che aveva registrato un +275%, aveva mostrato un +26%, per poi salire del 35% nel 2000-2002 mentre il Nasdaq che registrava -73%.
Intendiamoci come anche nel caso dei Nifty Fifty, alla base della moda c’era un fondo di verità necessario perché una bolla abbia inizio, internet era davvero destinato a cambiare il mondo ma gli investitori, ancora una volta avevano stabilito che il prezzo non era importante mollando gli ormeggi della ragione e della disciplina con tutte le conseguenze del caso.
Il ripasso delle lezioni passate era stato doloroso ma, a quanto pare, necessario ed ora era veramente chiaro a tutti, no?
No, perché alla fine 2007, pochissimi anni dopo l’euforia di internet, è arrivato l’entusiasmo immobiliare. Questa euforia stavolta ha però colpito il cuore dell’investitore, cioè la casa.
Anche in questo caso le aspettative positive hanno alimentato l’avidità portando disequilibri. Questi disequilibri guidati e sorretti dall’aumento dei prezzi delle case hanno portato alla crisi del 2008. Case comprate a qualsiasi prezzo con un mutuo, allo scoppio della bolla valevano ora una frazione del costo originario ma il debito contratto era rimasto tale e quale.
Una crisi che ha colpito la fiducia degli investitori e insegnato molto alle Banche Centrali, soprattutto a reagire tempestivamente (vedasi la forte e veloce reazione della FED nella pandemia del 2020).
Ennesima lezione, repetita iuvant.
O forse no?
Siamo ora nel 2021 e l’investitore era affascinato dalla rivoluzione tecnologica e dalla blockchain. Se prendiamo uno dei prodotti che maggiormente aveva riscosso successo cioè Ark Innovation, un ETF che investe nella frontiera digitale e blockchain, le sue performance continuavano a salire e nessuno si domandava se potesse esistere un prezzo troppo alto per alcune aziende.
Considerando per esempio i primi 15 titoli di fine 2021, annotiamo freddamente che nessuno dei 15 ad oggi ha mostrato una performance positiva e la media è stata del -55%. Quindi diverse aziende che si pensava potessero rivoluzionare il mondo oggi si trovano in forte correzione ed alcune sono anche fallite.
Questa carrellata storica è aneddotica, non esaustiva ma certamente è significativa per trovare una chiave interpretativa del contemporaneo.
Oggi la parola più abusata e ricercata è “Intelligenza Artificiale”.
Qualche giorno fa il CEO di Oracle durante la stagione degli utili trimestrale ha citato più volte la parola AI ed il titolo l’indomani ha aperto in rialzo del 10%. Nessuno mette in discussione la rivoluzione tecnologica in atto ed i suoi effetti nell’economia reale, ma i dubbi sorgono sui tempi, le valutazioni, e chi sarà il protagonista del cambiamento! Per sua natura la tecnologia è distruttiva.
Il mercato toro nasce nella negatività, si sviluppa nello scetticismo, cresce nell’ottimismo e muore nell’euforia.
In questo momento del ciclo “della psicologia”, non bisogna farsi prendere dall’avidità, ma continuare ad investire in obbligazioni di qualità ed azioni difensive a forte sconto, due asset class con rendimenti inimmaginabili solo qualche anno fa.
Non esiste, dunque, un modo sicuro di partecipare ad una bolla: c’è sempre e solo il pericolo poiché il prezzo eccessivo non comporta automaticamente una sua immediata discesa.
Le bolle sono un risultato naturale dei mercati e spesso si protraggono a lungo. Sui mercati agiscono persone che per definizione sono guidate da emozioni e sentimenti lungo tunnel dove regnano irrazionalità e imprevedibilità ai prezzi, alla cui fine però arriva sempre la luce della ragione e con essa la lucida chiarezza del rapporto tra prezzo e valore.
Esiste quindi, una sola forma d’investimento intelligente: determinare al meglio il valore e investire a quel prezzo o ad uno inferiore, ogni altra strategia ci consegnerebbe nelle mani della casualità statistica dei risultati e soprattutto dal lato sbagliato della storia.
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